Fallimento nella Bancarotta Prefallimentare, è reato?

La sentenza che dichiara il fallimento nella bancarotta prefallimentare è elemento costitutivo del reato?

La natura giuridica della dichiarazione di fallimento è questione da sempre dibattuta sia in dottrina che in giurisprudenza.

Il dubbio sorge esclusivamente in relazione alla bancarotta prefallimentare a causa dell’ambiguità del dato normativo e in quanto in assenza del fallimento non viene neanche a configurarsi la responsabilità penale.

Nessun contrasto esegetico è sorto per la bancarotta post- fallimentare, perché il fallimento si atteggia quale presupposto del reato intervenendo necessariamente in un momento anteriore.

La dottrina dominante ha optato per la qualificazione di condizione obiettiva di punibilità in contrasto con la giurisprudenza più avveduta che ha ricondotto la dichiarazione di fallimento all’interno degli elementi costitutivi sebbene distinta dall’evento.

Quale la differenza tra elemento costitutivo del reato e condizione obiettiva di punibilità?

La querelle non è di poco conto né meramente teorica.

Affermare che la sentenza dichiarativa di fallimento si atteggia quale elemento costitutivo del reato significa richiedere necessariamente un’adesione soggettiva nella forma del dolo (coscienza e volontà) o quantomeno della colpa.

È duro, infatti, circoscrivere la colpevolezza al solo compimento di atti distrattivi. L’imprenditore, in tal senso, è gravato dell’obbligo di conservazione per soddisfare i creditori con limiti agli atti dispositivi.

In caso contrario, se si fa riferimento alle condizioni obiettive di punibilità, l’accertamento del dato psicologico diviene maggiormente agevole sebbene è sempre necessario un minimo di legame con il soggetto agente essendo bandite le ipotesi di responsabilità meramente oggettive.

La giurisprudenza tradizionale quando configurava l’imprenditore responsabile per bancarotta prefallimentare?

La giurisprudenza che riconduceva la sentenza dichiarativa di fallimento tra gli elementi costitutivi affermava la responsabilità dell’imprenditore che si era rappresentato i pregiudizi alle ragioni creditorie arrecati dagli atti distrattivi.

Tale circostanza andava accertata in concreto dal giudice mediante prognosi postuma ossia successiva alla commissione del reato.

Al di là dell’importo delle obbligazioni in scadenza l’imprenditore era libero di utilizzare a proprio piacimento i beni di cui dispone.

Si cercava, dunque, qualcosa in più rispetto alla mera sentenza di fallimento in riferimento all’insieme degli obblighi che l’imprenditore ha all’interno del mercato. Egli, infatti, doveva essere consapevole e cosciente che la violazione degli obblighi posti a suo carico avrebbe determinato una situazione di dissesto potenzialmente nociva per i creditori.

La sentenza dichiarativa di fallimento è ancora considerata elemento costitutivo del reato?

No, la Suprema Corte ha assunto una posizione differente in ordine alla natura della sentenza dichiarativa di fallimento.

Le Sezioni Unite hanno aderito all’impostazione che la qualifica come condizione obiettiva di punibilità.

Ciò comporta che il termine di prescrizione del reato decorre dalla data della sentenza e la competenza territoriale appartiene al giudice del luogo in cui si sono verificati i fatti.

In tal senso la sentenza dichiarativa di fallimento non aggrava l’offesa. È evento estraneo alla sfera tipica e rappresenta una condizione obiettiva di punibilità estrinseca che restringe l’area del penalmente illecito imponendo la sanzione penale quando alla condotta dell’imprenditore segue la dichiarazione di fallimento.

Il disvalore del fatto di reato, in tale ottica, non può essere posteriore rispetto alla condotta dell’imprenditore e illuminarla irretroattivamente.

L’offesa al bene giuridico tutelato dal legislatore, il patrimonio dei creditori e il corretto andamento delle relazioni economiche, è posta in essere dal comportamento dell’imprenditore e insito nei fatti di bancarotta.

Non è vietato fallire, ma porre in essere condotte idonee a pregiudicare le ragioni dei creditori.

Solo in questo modo viene rispettata la lettera della legge coerentemente con i motivi di opportunità politico- criminali che sorreggono l’introduzione del reato in esame.

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